Ciao! Come stai? Spero bene.
Oggi, mano nella mano, ti accompagno in una mansarda un po’ incasinata e impolverata, che è la mia mente. Lì ripongo, in un ordine discutibile, ogni mio più piccolo ricordo.
Guarda là! Sì, proprio lì. Dietro quell’armadio ci sono due cuscini. Sprimacciali e portali da me. Adesso sediamoci e… ascolta questa lunga storia. Oggi voglio raccontarti di come ho deciso di darmi un’occasione come scrittrice.
C’era una volta…
Esattamente due anni fa, in questo preciso periodo, stavo vivendo la mia prima estate da lavoratrice-disoccupata. Per chi non lo sapesse, per due anni e mezzo sono stata seduta dietro una cattedra. È stata un’esperienza intensa ed emozionante, che mi ha arricchita. Tuttavia, chi svolge questa mansione conosce bene cosa significa trascorrere più di due mesi a casa con lo scarso stipendio della disoccupazione, l’ansia di non essere richiamata e il terrore di vedere tutte le cattedre assegnate ad altri.
Ebbene, in questo turbinio di emozioni, il mio fidanzato Stefano stava preparando l’esame orale per abilitarsi come Avvocato. Stefano studiava più di dieci ore a giornata, sette giorni su sette, e gli unici momenti che passavamo insieme erano le sue brevi pause dallo studio. Per di più, oltre alla preoccupazione per Stefano, mio nonno iniziò a mostrare le prime avvisaglie del suo grave malessere di salute. Quell’estate lo vidi cambiare da un giorno all’altro. Indeboliva a vista d’occhio. Ma, mi chiederai, gli amici? In quel periodo ero molto sola. Ah, giusto, aggiungiamo al carico il fatto che c’era il COVID.
Tra un fatto e l’altro giunse il torrido mese di agosto, faceva un caldo disarmante, e io ero completamente persa, disorientata. La lancetta della bussola della mia vita girava senza senso e io mi ritrovai a non saper più leggerla.
Verso la fine del mese, però, sul web scovai per puro caso un’inserzione che segnalava un Concorso Nazionale di scrittura, in cui la traccia prevedeva un preciso tema da elaborare in un racconto breve.
Ci provo? Mi butto?
Fu Stefano a convincermi a mettermi in gioco. La scuola, dopotutto, avrebbe riaperto le porte da lì a due settimane.
Inoltre ti confesso che, da che ho memoria, io ho sempre scritto. Anzi, ancor prima di imparare a mettere le mie idee su carta o di essere una bookblogger, ideavo storie ad alta voce. Mi piaceva soprattutto inventare le trame di amori tormentati ma indissolubili.
E sì, alla fine, il racconto lo scrissi. Ci lavorai strenuamente per due mesi prima di inviarlo, a una settimana dalla chiusura del termine. Scrissi, cancellai, riscrissi… cento e più volte. Senza sosta. Due mesi per quattro pagine di testo. Era fine ottobre.
Nel frattempo Stefano stava ancora studiando, il nonno era sempre più debole e la scuola mi aveva riaccolta tra le sue mura. Ero, insomma, immersa nella routine quando, qualche settimana dopo, ricevetti la tanto attesa mail che mi indicava tra i vincitori del Concorso Nazionale.
Tuttavia, non festeggiai mai questo traguardo. Stefano dapprima era oberato di studio e, quando a novembre diventò Avvocato, mio nonno era ormai stremato dalla malattia. L’idea di brindare a quella vittoria mi nauseava. Per quanto io fossi in pena, però, non avevo mai per davvero preso in considerazione la possibilità che accadesse quello che si verificò in seguito.
Tuttora soffro all’idea di non essere riuscita a condividere la gioia di quella vittoria insieme a mio nonno. Lui avrebbe gioito, nonostante tutto. Non ho fatto in tempo a parlagliene, o meglio non ho avuto il coraggio di dirgli una cosa così futile rispetto a ciò che stava vivendo.
La gelida serata del 23 dicembre, quando ricevetti il pacco contenente il mio racconto stampato nell’Antologia, una Dottoressa mi comunicò che il nonno non ce l’avrebbe fatta. Pochi giorni dopo il nonno morì.
Il mio racconto era stato pubblicato e lui non lo sapeva. Lui non era con me a festeggiare il mio successo. Lui che aveva sempre tifato per me.
Eppure… io so che lui sa. Lui è sempre con me. Il mio libro sarà dedicato a lui, all’uomo che mi ha cresciuta come se fossi figlia sua.
Con le dita sudate, non mi basta asciugarle sul cuscino, è giunto il momento che io arresti il racconto. Ma la storia non finisce qui. Ho ancora così tanto da dirti.
Abbi pazienza, nella prossima Newsletter ti spiegherò cosa accadde da quel tragico evento in avanti.
Maria Diletta Veluti